“Dal punto di vista della dinamica psichica, il gruppo è un sogno”
D. Anzieu
Mi è sembrato corretto iniziare con questa citazione di D. Anzieu in quanto credo che rappresenti pienamente, seppur in maniera sintetica, l’esperienza da noi vissuta nell’ambito della partecipazione ad uno dei gruppi esperienziali organizzati dalla Cattedra di Claudio Neri, Teoria e Tecniche della Dinamica di Gruppo della Facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma nel 1999/2000 e all’epoca pubblicato sul sito www.funzionegamma.it .
Tenterò di esporre dal mio punto di vista, in forma narrativa, per quanto sia possibile, la “storia” di questo gruppo, suddividendo l’esperienza in tre “tempi” diversi, ognuno dei quali con una sua tematica fondamentale:
1- Prime tre sedute, in cui il problema dell’identità di gruppo è emerso prepotentemente.
2- Nucleo centrale dell’esperienza, a sua volta suddivisibile:
a) In un primo periodo dominato dall’assenza di sogni in cui i partecipanti erano preoccupati di essere riconosciuti dal gruppo.
b) In un secondo periodo in cui si è manifestata una intensa attività onirica ed elaborativa, a cui si sono aggiunti dei fenomeni di acting out da parte di un po’ tutti i partecipanti.
3- Ultime tre sedute, le quali si pongono come momento di elaborazione del lutto da parte del gruppo nel suo insieme.
Il gruppo ha avuto una durata limitata di circa quattro mesi, tra la fine del 1999 e l’inizio del 2000, gli incontri hanno avuto frequenza settimanale e per ogni seduta abbiamo avuto a disposizione circa un’ora e trenta minuti.
L’esperienza si svolse all’interno dell’aula Torre B, la quale permetteva la “classica” disposizione a cerchio. Abbiamo aderito motivati solamente dallo scopo formativo dell’esperienza, avendo l’opportunità di scegliere tra più alternative in base a varie disponibilità di orario. Il nostro gruppo era composto da otto persone più il conduttore: F. , D. , P. , C. , B. , Ma. , di sesso femminile; A. , Mi. ed il conduttore T. di sesso maschile.
PRIMI TRE INCONTRI
Prima seduta
Al primo incontro sono presenti 7 persone più il conduttore. Dopo essersi presentati, i partecipanti iniziano a studiarsi l’uno con l’altro, si scambiano sguardi intensi, rimanendo in silenzio: si inizia a provare un certo imbarazzo. La situazione spiazza notevolmente C., la quale si aspettava un conduttore che avesse spiegato ai partecipanti il funzionamento di questo tipo di gruppi. Nasce una discussione: tutti i membri del gruppo, eccetto C. , sapevano che l’esperienza di “silenzio era normale”. C. prova rabbia, si sente ingannata, cerca di evitare il silenzio facendo domande agli altri, cercando di farli “scoprire”, evitando accuratamente di “scoprirsi” lei stessa. La figura di C. inizia ad assumere un’importanza fondamentale. Si pone come promotrice, come colei che “sprona” gli altri a parlare, visto che secondo lei il conduttore non si assumeva questo impegno e che gli altri non sembravano interessati a farlo. A fine seduta il conduttore propone un testo narrativo che si sarebbe potuto leggere per poi discuterne: “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde”. Il testo è stato tenacemente rifiutato dal nostro gruppo, nonostante, secondo me, sia comunque entrato a far parte dei “miti di fondazione” sull’origine del gruppo. In ogni caso, ha rappresentato una “base sicura” a cui si sarebbe potuto tornare per consentire al passaggio dal FUORI al DENTRO del gruppo di essere meno traumatico possibile, o nei momenti di difficoltà comunicativa od emozionale per utilizzarlo comunque come “oggetto transizionale”. Il testo è stato proposto come lettura COMUNE, la quale avrebbe potuto consentire di rappresentare i vissuti di tutti senza doversi necessariamente esporre in prima persona, un tramite, tra le fantasie e le angosce individuali dei singoli partecipanti ed il gruppo nel suo insieme. Tutto questo non è accaduto. La modalità interattiva che è venuta spontaneamente costruendosi è stata quella del “pensiero per immagini”, ed il difficile ruolo di mediatore, è spettato al sogno.
Seconda seduta
Il secondo incontro inizia con un cambiamento inatteso del setting: il mio ingresso come nuovo membro nel gruppo. Dopo le presentazioni chiedo esplicitamente in che modo era stato vissuto da parte di tutti questo cambiamento. C. afferma di non sentirmi parte del gruppo. Gli altri non lo considerano un problema in quanto una sola seduta non consentiva di affermare che si fosse formato un vero e proprio “gruppo”. Nonostante questo mi rimane molto difficile comunicare, interagire con gli altri, anche se in seguito mi renderò conto che quanto sembrava rimasto inascoltato era stato perfettamente recepito da tutti. Si cerca di riassumere la prima seduta al nuovo arrivato: “Non ti sei perso niente, siamo stati in silenzio tutto il tempo, anche T., il conduttore, non è intervenuto!”. T. fa notare come ci sia stata una rimozione totale sui suoi interventi che, al contrario, erano stati fatti. Esauritosi l’argomento precedente C., alla richiesta di spiegazioni sulla sua diminuita loquacità, lancia una sfida: “Io oggi non parlo, parlate voi ed io ascolto!”. Si pone in atteggiamento di sfida, come a dire: “Vediamo che sapete fare senza la mia mediazione!”. C. forse sta cercando di essere riconosciuta, attirando l’attenzione sulla presunta indispensabilità della sua funzione di mediatrice degli interventi, che, senza la quale, non sarebbero stati fatti. Il gruppo reagisce continuando a comunicare, seppur in maniera frammentata dando in questo modo a C. una risposta chiara: “Possiamo fare anche a meno di te!”. Da questo momento la figura di C. cambia, sembra contrapporsi al gruppo, inizia a sabotarne le attività inquisendo gli altri e continuando a non esporsi in prima persona, oppure mettendo in evidenza come le cose le vadano meravigliosamente. “Io sto bene da sola” sembra voler dire (ed effettivamente lo dirà in seguito). Tutti gli altri appaiono congelati, il fatto di sentirsi ancora solamente “individui riuniti insieme”( non un vero e proprio gruppo) ed il contesto universitario in cui si svolge l’esperienza (dove ci si conosce un po’ tutti ), alimentano preoccupazioni sul fatto che ciò che sarebbe stato detto “all’interno” dell’aula Torre sarebbe potuto uscire “fuori”, sottolineando le funzioni superegoiche che i partecipanti attribuiscono all’istituzione in generale.
Terza seduta
Durante il corso del terzo incontro, F. si espone parlandoci del rapporto solitamente conflittuale con il padre ed afferma: “non ho paura di parlarne”. Il gruppo lascia cadere la cosa, ma F. è il primo elemento del gruppo riconosciuto da tutti. Considerazioni Questa prima fase mi è sembrata dominata dal problema dell’identità su due diversi piani: – L’identità del gruppo: il quale veniva vissuto dai partecipanti prima come un “contenitore bucato”, o meglio non ancora pienamente formato, da cui sarebbero potuti fuoriuscire dei contenuti qualora vi fossero stati immessi, poi come nuova entità a cui tutti appartenevano, indipendentemente dal fatto che ci si rendesse conto dei frutti che se ne traevano o che ne sarebbero stati tratti in seguito. – L’identità dei singoli individui: preoccupati di essere “riconosciuti” parte del gruppo ancora in formazione. Per uscire da questa prima situazione di “stallo emotivo” il gruppo costruisce spontaneamente, senza accorgersene, una “LEGGE DI FONDAZIONE” con una doppia funzione: determinare chi avrebbe effettivamente fatto parte del gruppo e chi no; costruire quella “pelle mentale” con funzioni contenitive e delimitanti di cui il gruppo sentiva il bisogno. La “legge inconscia” da rispettare, per chi voleva entrare a far parte del gruppo era la seguente: “Se vuoi far parte di questo gruppo devi tirare fuori le parti più deboli e sofferenti di te. Se farai questo però devi sapere che non verrai contenuto, perché le debolezza non deve far parte di questo gruppo”. Come nel sogno il contrasto viene rappresentato come un’unità, i pensieri coesistono come se non ci fosse contraddizione portando alla formazione del compromesso, indispensabile per entrare di diritto a far parte del gruppo. Il compromesso era quindi l’unica strada da percorrere, i vissuti soggettivi dovevano essere immessi nel campo per essere accettati come membri del gruppo, ma il gruppo non avrebbe svolto una elaborazione di tali contenuti: chi non ha saputo o voluto rispettare entrambe le affermazioni è stato escluso o ha provato ad autoescludersi dalla partecipazione al gruppo. Iniziava a delimitarsi uno “spazio comune”, a formarsi una “pelle mentale”, una distinzione tra ciò che era considerato dentro e quello che si trovava fuori, da sé e dall’aula; ma non esisteva ancora, almeno a livello conscio, una diversificazione gruppo-non gruppo. Tutti portavamo dentro quell’aula la nostra storia, le nostre precedenti identificazioni, le nostre ansie, i nostri timori: era come rovesciare su di un piano, inizialmente vuoto, tutti gli “oggetti” che possedevamo insieme, al punto che gli oggetti dell’uno e dell’altro non erano più distinguibili. Questo ci dava la possibilità di sperimentare giochi a noi sconosciuti in precedenza, di formare lentamente una nuova entità: il gruppo come se fosse un unico Sé pensante, quel di più della somma delle singole parti che si muove nello spazio e nel tempo pur rimanendo chiuso in una stanza. Una entità che l’individuo può pensare in maniera diversa . Un Sé di gruppo che, vista la sua funzione metabolizzatrice dei contenuti angosciosi, può essere interiorizzata per trovare nuove soluzioni a vecchi conflitti insoluti, mal risolti, rimossi e/o mai affrontati. Ma tutto questo inizierà a concretizzarsi nella parte che ho definito centrale della nostra esperienza.
NUCLEO CENTRALE
Quello che ho definito “nucleo centrale” in realtà comprende buona parte delle sedute a cui abbiamo partecipato, ma da solo non avrebbe potuto esaurire l’esperienza. Anche se le interazioni in molte sedute non sono numerose, e i contenuti spesso hanno la funzione di “diluire” il tempo per arrivare alla fine della seduta, pian piano iniziamo ad interagire tra noi, almeno verso la fine di ogni seduta. Prima di entrare nell’aula torre, tutti parlano del più e del meno accentuando i problemi legati all’Università. Questi discorsi preparatori servono ad un duplice scopo: quello di conoscerci meglio; l’altro di preparare l’evento. Molto spesso questo tipo di discorsi vengono continuati anche a “porta chiusa”, ma sembrano “fuori luogo”, come spogliati delle loro funzioni e utili solo a non “ascoltare il silenzio”. Iniziano le angosce di sentirsi giudicati (sia dal resto del gruppo, sia dal conduttore) e di esclusione, non sentendosi riconosciuti dal gruppo (con relative minacce di abbandono ). Finché non si rispettava la “legge” di raccontare le parti più nascoste di sé stessi ( come Mr. Hyde che in inglese vuol dire nascosto, e forse qui il racconto propostoci ha avuto lo stesso una sua rilevanza ) non si veniva considerati membri del gruppo. Eravamo in una posizione intermedia (di stallo) in cui non eravamo ne’ dentro ne’ fuori, in un conflitto apparentemente irrisolvibile, fino al momento in cui non si fosse superata la paura del giudizio parlando di se’, o non si fosse superata l’ansia di non sentirsi parte del gruppo e quindi di abbandonarlo. Le reazioni dei partecipanti sono state diverse: Mi., P., F., A., B. hanno preferito esporsi apportando al gruppo quegli elementi “privati” di cui il gruppo necessitava per darsi una strutturazione e una identità ; D. è rimasta in una situazione di stallo e attesa superata solo negli ultimi incontri; C. ha scelto di contrapporsi al gruppo dichiarandosi sempre soddisfatta di sé stessa e mostrando sempre la sua parte più “pulita” dichiarando esplicitamente in vari contesti: “io sto bene da sola”; Ma. ha abbandonato il gruppo. Da sottolineare il rapporto tra A. e C. ai quali non mancava l’occasione, ad ogni seduta per trovarsi in disaccordo e provocarsi vicendevolmente. A., inoltre ha iniziato a mettere in atto delle chiare situazioni transferali con il conduttore: Entrati in tema di sogni, A. parla di un frammento di sogno per lui ricorrente: “una persona chiusa all’interno di una torre”, dice che anche altre persone di sua conoscenza lo hanno fatto più volte e chiede a T. come si debbano interpretare questo tipo di sogni che lui definisce “tipici”. T. cerca di spiegare che non è possibile interpretare i sogni esclusivamente in chiave simbolica, ma A. lo accusa: “Sei tu che non me lo vuoi dire!”. Accanto a questi fenomeni di acting out iniziano a comparire le prime immagini oniriche, in conseguenza di ciò si verifica un enorme mutamento. Il gruppo sembra avere coscienza di Sé e della sua esistenza, una vera storia alle spalle, qualcosa in comune, che coinvolge e responsabilizza tutti nell’attribuirgli un significato, nel reperire tracce, in quel sogno, di Sé, della propria esistenza all’interno di quel gruppo, di una conferma: “Almeno qui dentro, ESISTO.”. Questo poi delineerà una traccia da cui partire per poter “Pensare i pensieri” in maniera del tutto nuova: a partire dall’inconscio abbiamo creato una coscienza. In questo senso il sogno ha sostituito il testo narrativo, andando a creare quel territorio comune dove poter esprimere sé stessi senza aver paura di venire rifiutati, perché esserlo da qualcuno avrebbe dovuto implicare un rifiuto di sé stesso da parte di quel qualcuno, talmente macroscopico da non poter sfuggire all’attenzione di tutto il resto del gruppo. Questo diviene possibile se attribuiamo la produzione onirica all’intero gruppo, che ha contribuito equamente alla costituzione, sia del conflitto, sia della sua espressione (il sogno stesso). Riporto di seguito i testi, in ordine cronologico, dei sogni portati al gruppo, tralasciando la loro discussione che verrà affrontata nelle conclusioni relative al nucleo centrale.
SOGNO n.1 di F. (4/12/99)
Sono a Londra con il mio ex-ragazzo, in un albergo che assomiglia ad una casa; molto carina. Ci sono 3 stanze da letto: una con 3 o 4 letti, una con un letto a castello. Nella casa-albergo ci sono: la madre del mio ex (ma non ne sono sicura) e un’altra ragazza che abita lì; io ho la sensazione che lei sia interessata a lui ed ho la vaga sensazione che anche lui si interesserà a lei in un futuro prossimo. Io sento di amarlo molto e vedo molte scene nelle quali ci abbracciamo. Non ricordo tutto il sogno ma soltanto alcune scene. Siamo per strada, la città mi sembra un po’ tetra, è notte. Nel sogno so di essere a Londra ma non è la città che nella realtà ho visto più volte. Camminiamo (io, lui, la madre, la ragazza che abita con lui e altri amici )su una strada costeggiata da palazzi tutti uguali con delle facciate giallo-bianche. Mentre camminiamo io guardo il cielo e vedo un galeone che è disegnato su tutta la volta celeste, è enorme e ci sono delle persone che stanno remando; io guardo il mio ex e dico: “Adesso ho capito perché in cielo ci sono le stelle! Perché quando loro remano fanno muovere il cielo e lo fanno luccicare”. Su questo viale trovo un cane di taglia piccola, che è stato abbandonato; entriamo in un locale e vedo delle donne che mi appaiono subito strane, come se fossero maligne ed ho la sensazione che stanno parlando male e ridendo di noi. Tutto il sogno ha qualcosa che non va, ho paura che si trasformi in incubo da un momento all’altro. Forse le signore del locale vogliono il cane che ho in braccio ma non ricordo se lo lascio a loro o se continuo a tenerlo con me. Dopo un po’, però, sicuramente non e più nelle mie braccia perché io mi ritrovo davanti un gruppo di uomini che sono li e inizio a fare uno spogliarello. Il gruppo è composto da soli uomini di tutte le età e sono seduti a cerchio; ci sono anche gli amici con i quali ero arrivata al locale, ma manca il mio ex. Io inizio a fare lo spogliarello; inizialmente tento di mostrarmi disinvolta, ma l’unico risultato è solo quello di apparire ancora più impacciata. Quando resto in mutande e reggiseno mi giro come per dar loro le spalle e lasciare un po’ di suspence per il gran finale, e alla fine mi tolgo il reggiseno e gli uomini mi applaudono e fischiano come segno di gradimento. Provo imbarazzo e vergogna ma finisco lo spogliarello pensando però che il mio ex possa infastidirsi ; mi guardo intorno per cercarlo e per vedere se lui mi sta vedendo, ma non lo trovo e chiedo agli altri che sono con me se hanno sue notizie ma mi dicono che non è li. Non so se lo spogliarello fa parte di una scommessa o se lo faccio per tenere gli uomini impegnati in qualcosa e quindi distrarli da qualcosa altro che però non ricordo. Successivamente vengo a sapere che il mio ex si trova in un mondo parallelo, futuristico dove le persone indossano delle tute (assomigliano a quelle dei motociclisti). Io vado in questo luogo per cercarlo e il posto assomiglia ad un corridoio molto ampio di un treno futuristico; lo trovo e credo che lui sia andato lì per picchiarsi con un altro uomo; infatti so che questo è un luogo dove le persone si incontrano per litigare.
SOGNO n.2 di F. (18/12/99)
Mi trovo in una comunità di “illuminati” non so quale sia la loro religione, non ha importanza per me, ma so che tutti sono accomunati da un’unica verità: sono vestiti tutti allo stesso modo, con una tunica verde (mi sembra!). Io sono lì a imparare questa nuova forma di conoscenza, una sorta di apprendistato. Ancora non so usare bene i miei poteri ma inizio a mettermi alla prova. Davanti a me c’è una grande piazza dove ci sono tutti gli abitanti di questa comunità: donne, uomini, bambini e anziani. Io vedo questa scena: a terra c’è un uomo che sta suonando la chitarra e davanti a lui seduti su delle sedie ci sono un padre e le due figliolette. Io inizio ad alzarmi da terra e a dirigermi sopra la bambina più piccola; arrivata sulla testa della bimba la prendo per i capelli e la lancio da un’altra parte, poi mi rivolgo al padre e all’altra bambina e gli urlo di andarsene; alla fine guardo gli altri che erano con me (forse dei miei amici o apprendisti come me) e dico loro: “Avete visto? Sto diventando sempre più brava ad usare i miei poteri!”; faccio una breve pausa e continuo con il viso rattristato: “però non posso usare i miei poteri facendo del male agli altri, se no a cosa serve? Io imparo ad apprenderli per potere nel futuro fare del bene So che la comunità è minacciata da una belva feroce che si aggira per il paese e uccide le persone. Io mi avvicino a dei bagni pubblici e trovo ragazze uccise: una è stesa su un tavolo con le braccia e il viso che le penzolano verso terra, è a pancia all’aria e ha gli occhi aperti con le iridi rivolte verso l’alto lasciando quasi tutto l’occhio bianco; un’altra ragazza è seduta attorno al gabinetto, come se lo stesse abbracciando, ed ha il viso rivolto verso l’interno del water; l’ultima non ricordo in che posizione si trova. Io sono angosciata per lo spettacolo che ho davanti, mi sento spaventata ma continuo a guardare la scena fino a quando non decido di andarmene. Ad un certo punto mi ritrovo in bicicletta con altri 2 miei amici, la disposizione è questa: uno guida e dietro come seduti su un cestino ci siamo io e un altro mio amico. Dobbiamo raggiungere una scuola dove c’è una riunione e noi dobbiamo percorrere la strada dove si trova questa belva ed io sono terrorizzata. E’ notte, il mio amico pedala ed ad un certo punto ci troviamo la belva davanti, di profilo; assomiglia ad una sfinge ed è nella stessa posizione della statua; io la vedo di profilo, immobile. Grido al mio amico che sta pedalando: “corri, fa presto, più veloce che puoi!”, ma mentre lo dico la belva fa un balzo e avanza verso di noi; adesso è davanti a noi con gli occhi sbarrati ed io dico al mio amico di puntarle i fari della bici negli occhi per stordirla ma proprio quando dobbiamo affrontarla mi sveglio per la paura. Credo di essere sveglia ma in realtà sto ancora sognando, infatti mi trovo nella mia stanza e tento di accendere la luce del comodino ma non si accende, provo con quella della scrivania ma neanche quella si accende e penso che tutto ciò è molto strano e che le luci si sono fulminate insieme. Nella stanza con me c’è una mia amica che sta dormendo (nella realtà c’è davvero la mia amica che sta dormendo nella mia stanza ed io la sveglio impaurita per raccontarle il sogno; lei mi suggerisce di leggere nel libro di Venturini (al momento stiamo studiando Psicofisiologia Clinica) la fine della storia dicendomi: “Forse lì c’è scritto come finisce tutto!”. Il sogno finisce, io mi sveglio e racconto alla mia amica tutto il sogno ma sono talmente terrorizzata che mentre lo racconto piango; finalmente dopo un’ora mi riaddormento.
SOGNO N.3 di P.
Durante lo svolgimento di una delle sedute seguenti P. porta un altro sogno al gruppo (di cui però non sono riuscito a reperire il testo), di cui ricordo solo un breve riassunto: P. si trovava nei bagni pubblici di un Autogrill, due uomini avrebbero dovuto pulire ma non se ne occupavano, di conseguenza tutto era sporco, c’erano rifiuti, organici e non, sparsi dappertutto. P. si occupa personalmente delle pulizie.
CONSIDERAZIONI
Tralasciando la completa analisi dei sogni, che peraltro non è né possibile né utile in questo contesto, mi soffermerò su alcuni frammenti che mi sembrano inequivocabilmente collegati con il gruppo. Nel sogno n.1 F. dice: ” io mi ritrovo davanti un gruppo di uomini che sono li e inizio a fare uno spogliarello.”. Se proviamo per un attimo a rappresentare simbolicamente lo spogliarello di F., ci accorgiamo immediatamente dell’imbarazzo che deve aver provato nel raccontarsi davanti alle altre persone che componevano il gruppo ed in particolare nei confronti dei colleghi maschi “Il gruppo è composto da soli uomini di tutte le età e sono seduti a cerchio”. F. ci aveva parlato di suo padre, aveva rotto le acque, ma questa operazione coraggiosa le deve essere costata molto, ma è stata ripagata dall’ammirazione del gruppo con l’indiscusso riconoscimento da parte di tutti “Io inizio a fare lo spogliarello; inizialmente tento di mostrarmi disinvolta, ma l’unico risultato è solo quello di apparire ancora più impacciata. Quando resto in mutande e reggiseno mi giro come per dar loro le spalle e lasciare un po’ di suspence per il gran finale, e alla fine mi tolgo il reggiseno e gli uomini mi applaudono e fischiano come segno di gradimento. Provo imbarazzo e vergogna ma finisco lo spogliarello pensando però che il mio ex possa infastidirsi”. Tra questo primo sogno di F.ed il secondo, il gruppo attraversa un momento “mistico” con una discussione riguardante il rapporto tra chiesa-psicoanalisi ed affrontando l’argomento delle suore che decidono di affrontare la clausura. Mi. ha evidenziato il fatto che la chiesa preferisce incorporare parti della teoria psicoanalitica non in contraddizione con i loro dogmi, tralasciando quello che non collima con le loro ideologie. Il conduttore contribuisce spiegando che esistono delle frange isolate di psicoanalisti cattolici, e che sarebbe bastato leggere i loro libri per rendersi conto, osservando la bibliografia, di questo isolamento culturale. B. ,molto cattolica, difende i valori della clausura, rispettata ma attaccata dal resto del gruppo. Questa discussione sulla religione verrà troncata da C. , che criticherà il gruppo per essersi cimentato nella discussione di argomenti tanto poco interessanti: “Mi aspettavo di più da voi!”. Nella seduta seguente F. porta il sogno n.2. Evidente ancora una volta il riferimento a noi: “Mi trovo in una comunità di “illuminati” non so quale sia la loro religione, non ha importanza per me, ma so che tutti sono accomunati da un’unica verità: sono vestiti tutti allo stesso modo, con una tunica verde (mi sembra!). Io sono lì a imparare questa nuova forma di conoscenza, una sorta di apprendistato. Ancora non so usare bene i miei poteri ma inizio a mettermi alla prova. Davanti a me c’è una grande piazza dove ci sono tutti gli abitanti di questa comunità: donne, uomini, bambini e anziani.” E poi ancora: “alla fine guardo gli altri che erano con me (forse dei miei amici o apprendisti come me) e dico loro: “Avete visto? Sto diventando sempre più brava ad usare i miei poteri!”; faccio una breve pausa e continuo con il viso rattristato: “però non posso usare i miei poteri facendo del male agli altri, se no a cosa serve? Io imparo ad apprenderli per potere nel futuro fare del bene”. La comunità di studenti inizia però a preoccuparsi di una “belva” che li potrebbe uccidere (il loro rimosso?): “So che la comunità è minacciata da una belva feroce che si aggira per il paese e uccide le persone. Io mi avvicino a dei bagni pubblici e trovo ragazze uccise: una è stesa su un tavolo con le braccia e il viso che le penzolano verso terra, è a pancia all’aria e ha gli occhi aperti con le iridi rivolte verso l’alto lasciando quasi tutto l’occhio bianco; un’altra ragazza è seduta attorno al gabinetto, come se lo stesse abbracciando, ed ha il viso rivolto verso l’interno del water; l’ultima non ricordo in che posizione si trova. Io sono angosciata per lo spettacolo che ho davanti, mi sento spaventata ma continuo a guardare la scena fino a quando non decido di andarmene.” (P. ci aveva in qualche seduta precedente parlato della frequenza con la quale sognava gabinetti) continua il sogno che è di per sé molto eloquente “Ad un certo punto mi ritrovo in bicicletta con altri 2 miei amici, la disposizione è questa: UNO GUIDA e dietro come seduti su un cestino ci siamo io e un altro mio amico. Dobbiamo raggiungere una SCUOLA dove c’è una RIUNIONE e noi dobbiamo percorrere la strada dove si trova questa BELVA ed io sono terrorizzata. E’ notte, il mio amico pedala ed ad un certo punto ci troviamo la belva davanti, di profilo; assomiglia ad una SFINGE ed è nella stessa posizione della statua; io la vedo di profilo, immobile”. Le emozioni che F. ci descrive in questo sogno sono proprie di tutti noi partecipanti, il sogno ha dunque svolto la funzione di “collante”, evitando le sempre presenti minacce di frammentazione del gruppo (D., C., Ma. hanno spesso minacciato di lasciare il gruppo) e del Sé. Quando F. ha portato il primo sogno tutti ci siamo interrogati su quanto fosse pertinente alla nostra esperienza comune, e la stessa F. non sembrava intravedere con essa legami significativi. Quando ho evidenziato che le persone disposte in cerchio ricordavano qualcosa a noi molto familiare, le associazioni si sono succedute rapidamente ed F. ha potuto riconsiderare dei sentimenti conflittuali rimossi. Il sogno ci ha avvicinato al nostro inconscio, ci ha dato elementi per trasformare l’esperienza attraverso la conoscenza un po’ più approfondita di NOI stessi e sottolineo il “noi”, perché l’esperienza trasformativa non ha riguardato i soli sognatori, ma tutti nel complesso hanno riconsiderato delle posizioni conflittuali, anche se in tempi diversi durante l’EPG, o addirittura dopo la sua fine. Il sogno ha proiettato su uno schermo neutro, come fosse un film, l’immagine plastica dei conflitti del gruppo, che riguardavano in ogni caso diversi piani: conflitti tra i membri, con l’esterno, con sé stessi. Questo ha ovviamente permesso a tutti di intervenire su determinati argomenti, argomenti che evidentemente “toccavano” nuclei emozionali irrisolti di chi, di volta in volta interveniva. Per pensarsi i partecipanti necessitavano di una situazione apparentemente scevra da coinvolgimenti emotivi, che aggirasse le difese, per poi rendersi conto che il problema di cui si discuteva in realtà coinvolgeva in prima persona anche ognuno di loro. Un evento significativo avviene verso la fine dell’anno, l’interruzione per le vacanze natalizie riserva una sorpresa al gruppo: Ma. non tornerà più. Il gruppo ne discute, quali saranno i motivi? Ma. era straniera, forse non capiva bene ciò che dicevamo? Ma. ha avuto paura di parlare? Il gruppo non è stato un buon gruppo? Poi un giorno l’ho incontrata e mi ha confessato: “Si parla troppo di cose personali, io non sono abituata a parlare così tanto di me agli altri”. Ma. non ha aderito alla legge che il gruppo aveva creato e se ne è tirata fuori da sola senza aspettare che le escludessero gli altri. Una seduta è stata caratterizzata da un intervento diretto a C. del conduttore: F. e P. discutono pacificamente: “In questo periodo (Febbraio) l’acqua è troppo fredda per farsi il bagno” . C.: “Io una volta, in Aprile, mi sono fatta il bagno con degli amici, ci siamo divertiti molto”, dopo vari commenti e cambiato argomento, parlando cioè di sogni in cui erano presenti situazioni ansiose che coinvolgevano il sognatore, P. ed F. soprattutto, ma anche il resto del gruppo, associano liberamente, quando C. interviene: “Io a volte faccio dei sogni talmente tranquilli che sogno di dormire!” a questo punto il conduttore interviene facendo evidenziando come C. sembrava sempre mostrare la parte più coraggiosa, forte e stoica di sé, senza mai accennare ad una debolezza di alcun tipo. Durante uno degli ultimi di questo gruppo di incontri, avviene però qualcosa di inaspettato: C. si presenta in ritardo, con le lacrime agli occhi, A. non tollera che C. sia trascurata dal gruppo e, con una certa insistenza, inizia a chiederle cosa fosse accaduto. “Niente” è la prima risposta, ma quando A. torna sull’argomento C. è più esplicita: “Ti ringrazio per l’interessamento, ma non ho voglia di parlarne”. Il tema è riconfermato: C. non ha bisogno del gruppo; ma sembra anche un messaggio per T.: “Anche io sono debole ma non vengo certo a raccontare qui le mie sofferenze”.
ULTIME TRE SEDUTE
Terzultima seduta
Rilevante il fatto che il gruppo tenta di darsi una organizzazione creando un GIOCO, proposto da A., ma immediatamente accettato da tutti. Uno alla volta, i partecipanti esprimono le loro sensazioni, i loro pensieri, le impressioni relative agli altri. Sfruttando la disposizione circolare in senso antiorario, A. ha iniziato ad associare liberamente sugli altri membri del gruppo. Tocca poi a B., ma il gioco non viene concluso prima della fine della seduta e la volta successiva non verrà ripreso.
Penultima seduta
Sono presenti A., Mi, P., B., D., T.. Per la prima volta si è avuta la netta sensazione di partecipare ad un vero e proprio gruppo, i pensieri circolano liberamente, tutti si sentono a loro agio ed estremamente rilassati. P. fa una rivelazione a Mi.: “Quando sei arrivato tu speravo che le cose migliorassero, mi aspettavo molto, ma non è successo niente di particolare”. Mi.: “Perché ti aspettavi questo da me?” P.: “Forse il fatto che anche tu fai terapia individuale…credevo in una svolta” Mi.: “Invece io non avevo paura di espormi, ma quando tu, alla seconda seduta hai parlato della paura che ciò che potevamo dire sarebbe potuto essere raccontato, mi sono bloccato”. Tutti si rammaricano del fatto che l’esperienza sarebbe dovuta finire. C’è stata addirittura la proposta di continuare il gruppo senza il conduttore. La seduta si poneva già come momento di elaborazione del lutto: i verbi vengono coniugati costantemente al passato come se l’esperienza fosse già finita e si stesse facendo un riepilogo di ciò che era accaduto nei mesi passati durante tutti gli incontri: “Peccato, proprio ora che ci siamo scoperti dobbiamo rammaricarci che tutto finirà.
Ultimo incontro
Tutti sono presenti. L’atmosfera torna tesa, manca di nuovo la parola. Sembra esserci rancore nei confronti dei partecipanti assenti all’incontro precedente, infatti quando C. chiede cosa fosse accaduto la volta precedente, le risposte sono state molto evasive, sembravano dire: “Saresti potuta venire, ora peggio per te!”. La seduta continua in maniera frammentata, fino a quando sembra esserci un ripensamento: “L’altra volta abbiamo parlato molto”. A mio parere questi erano tutti attacchi rivolti verso C. a dimostrazione che il gruppo funzionava perfettamente anche senza di lei. Ci siamo salutati in maniera abbastanza fredda, considerando il “calore” dimostrato durante la seduta precedente.
CONSIDERAZIONI
Paradossalmente la fine dell’esperienza ci ha unito, il fantasma dell’abbandono come in tutte le sedute è presente, ma ora svolge un’altra funzione: permette di elaborare la perdita di una parte di sé, quella relativa a questa esperienza “inusuale” che è il gruppo, con le sue dinamiche apparentemente (ma solo apparentemente) incomprensibili. Questa perdita però sarà l’occasione, attraverso il lavoro del lutto (per chi sarà in grado di compierlo), per interiorizzare un diverso modo di concepire gli altri, passando per una totale ristrutturazione della personalità. La comprensione, (sottolineo il termine comprensione intendendo con esso una reale presa di coscienza e non una semplice “cognizione”), del fatto che molte delle nostre precedenti modalità interattive erano fondate su difese, come la proiezione o l’identificazione proiettiva, che prescindono dal reale rapporto con gli altri (significativi e non), credo sia il più evidente degli insegnamenti che abbiamo potuto trarre da questa EPG. Nel penultimo incontro comincia ad assumere senso (almeno ad una prima lettura superficiale) il sogno di P. : ” Nei bagni pubblici (luoghi solitamente “sporchi” come le cose che sarebbero dovute emergere o che sono emerse nel corso dell’EPG) di un Autogrill (luogo di passaggio, dove si sosta solo per breve periodo, un allusione alla nostra esperienza, anch’essa di breve durata) due uomini avrebbero dovuto pulire ma non se ne occupavano (il conduttore e Mi.), di conseguenza tutto era sporco (i rari interventi dei due non permettevano soluzioni immediate ai problemi posti come forse P. si sarebbe aspettata), c’erano rifiuti, organici e non, in particolare assorbenti, sparsi dappertutto (le ansie trattate nel corso delle sedute riguardavano particolarmente le ragazze del gruppo), P. si occupa personalmente delle pulizie (effettivamente P. dopo un certo periodo di attesa cerca di condurre gli interventi “sbloccando” di volta in volta le “pesanti” condizioni di assoluto silenzio in cui il gruppo sembrava trovare la soluzione all’angoscioso problema di obbedire alla legge istituita da lui stesso). L’arrivo di un nuovo elemento ha scatenato in P. delle emozioni transferali, rimaste silenti ed emerse solo quando il gruppo , ormai alla fine, è stato in grado di affrontarle. Mi. da parte sua è stato sopraffatto dalla paura del giudizio dell’intera istituzione nel suo complesso. A questo punto non mi rimane che concludere questo breve lavoro con una simpatica affermazione di C., la quale ha continuato costantemente a frequentare i nostri incontri settimanali nonostante le ripetute minacce di abbandono inoltrate. Durante l’ultima seduta, quando è stata rinnovata la proposta di continuare il gruppo C. esclama:
“Se il gruppo continua…io non vengo!”