L’avvicinamento progressivo e la regola del coniglio
I conigli selvatici hanno un metodo molto particolare per gestire una situazione sconosciuta in cui devono raggiungere un pezzo di cibo. Prima avvicinano l’obiettivo, poi si fermano assicurandosi che l’oggetto del desiderio non sia o faccia qualcosa di pericoloso. Poi si avvicinano ancora e si rimettono in attesa, se succede qualcosa durante quelle attese, scappano. Ma poi tornano e ritentano l’approccio, se l’oggetto desiderato è ancora lì, ripetono di nuovo l’approccio precedente. Questo processo si ripete fino ad avvicinarsi all’oggetto fiutare o gustare quello che rimane. Questo rituale di avvicinamento e arretramento è la “regola del coniglio” ed è legato a un piccolo aggregato di neuroni chiamato fascicolo mediale del proencefalo. Quando riuscite a stimolare in un soggetto questa area cerebrale, egli proverà un impulso irresistibile ad avvicinarsi allo stimolo.
Ma se invece stimolate la vicina amigdala, il centro che governa la paura, egli proverà un impulso irresistibile ad allontanarsi.
Nuove idee, fenomeni mai sperimentati prima, l’inaspettato e l’insolito vengono processati, come il coniglio analizza il suo cibo sconosciuto, in queste due aree del cervello: ecco perché le persone davanti a qualcosa di sconosciuto prima si avvicinano, poi si allontanano e poi tornano ad avvicinarsi. Le ricerche dimostrano che il comportamento esplorativo raggiunge il punto massimo ad un livello moderato di novità, dopo invece inizia a declinare.
Per indurre gli altri ad avvicinarsi a voi e alle vostre idee, dovreste proporle come un po’ più nuove su un aspetto particolarmente importante: salvo per una cosa, tutto ciò che prospettate è normalissimo, in linea con la prassi ordinaria. Si può anche fare circoscrivendo la zona intermedia spostando i concorrenti facendoli apparire in qualche modo fuori dalla norma.
E’ possibile anche sfruttare il fatto che il cervello è in grado di combinare assieme più informazioni e di archiviarle nella memoria come un unico dato e trovare la maniera di mettere in relazione tra di loro tutti gli aspetti originali di una nuova idea, di un nuovo progetto o di una nuova azienda condensandoli in “un solo aspetto critico” che differisce dal vecchio approccio già ampiamente noto e sperimentato.
Perché siamo spinti ad essere normali?
Al tempo dell’uomo cacciatore e raccoglitore, l’esclusione dal gruppo voleva dire morte certa: per cacciare o cercare cibo bisognava operare assieme, era pericoloso non farlo in gruppo. I predatori si nascondevano dappertutto e c’era sicurezza solo nell’aggregazione sociale. Abbiamo sviluppato un bisogno insopprimibile di essere accettati da altri membri della nostra “tribù”. E’ per questo che replichiamo spesso le azioni degli altri e il loro modo di pensare.
In psicologia sociale diverse ricerche hanno dimostrato che cambiamo facilmente opinione se scopriamo di essere in minoranza. Possediamo un gene del conformismo che ci spinge a essere “normali”. Per qualunque tratto della natura umana, siamo attratti verso la media perché ci sembra automaticamente più protettiva e sicura (chi è alto vuole essere più basso, chi è basso vuole essere alto, chi è riccio più liscio e chi è liscio più riccio). Alla fine, il gene del conformismo ci fa convergere tutti quanti sulla media, quindi per proporre una nuova idea rivoluzionaria è consigliabile presentarla semplicemente come una nuova applicazione di qualcosa di normale, ordinario. Le ricerche ci confermano che proviamo anche più rimorso dopo un evento accaduto in seguito all’abbandono della via della normalità: la cosa assurda è che lo sappiamo anche in anticipo, sentiamo con certezza che se ci allontanassimo dalla normalità staremmo molto peggio che se restassimo sul terreno del noto e dello sperimentato.