Lo dimostra l’esperimento “dei marshmallow” di Stanford, condotto nel 1972 dallo psicologo Walter Mischel. Nell’esperimento, ad ogni bambino veniva assegnato un marshmallow su di un piatto, se il bambino riusciva a resistere alla tentazione di mangiarlo per qualche minuto, ne riceveva un altro come ricompensa. Gli scienziati hanno poi analizzato quanto tempo ogni bambino riusciva a resistere alla tentazione di mangiare il suo marshmallow. L’obiettivo della ricerca era quello di valutare la capacità di controllo dei bambini sulla gratificazione differita, ossia la capacità di resistere alle tentazioni. Il primo esperimento ha avuto luogo nel 1964 all’interno della Bing Nursery School di Palo Alto (California) coinvolgendo bambini di 4 anni (molti dei quali figli dei docenti universitari). I bambini furono condotti in una stanza vuota da soli e posti seduti ad un tavolo davanti ad un marshmallow; fu detto loro che potevano mangiare il marshmallow, ma se fossero riusciti ad attendere venti minuti, ne avrebbero ricevuto un altro in premio. I comportamenti dei bambini venivano osservati da dietro uno specchio unidirezionale e Mischel vide come un terzo dei bambini riuscivano a resistere per tutti i venti minuti, mentre gli altri resistevano meno, alcuni solo pochi secondi. Molti bambini si dimostravano decisamente creativi nell’escogitare trucchi per resistere: chiudevano gli occhi, guardavano da altre parti, canticchiavano, si addormentavano. L’esperimento fu ripetuto su circa 550 bambini fino al 1974, i risultati furono confermati.  

E’ stato però Philip K. Peake negli anni ’80 per la sua tesi di dottorato a scoprire insieme a Mischel con un follow-up dello studio, i risultati più interessanti. I bambini dell’esperimento (figli dei docenti di Stanford e dunque facilmente rintracciabili), ormai divenuti adolescenti, che a 4 anni avevano saputo ritardare la gratificazione durante l’esperimento andavano meglio a scuola, avevano più amici, un quoziente intellettivo più alto e in generale avevano meno problemi. I bambini che non avevano saputo resistere alla tentazione invece, tendevano ad essere più problematici. Il prof. Peake segue ancora 200 degli ex bambini ormai uomini e donne di mezza età: chi era riuscito ad aspettare di più nell’esperimento continua ad avere un maggior autocontrollo, in media ha avuto meno problemi con la droga, con la giustizia, ha un tenore economico più alto.

Questi studi hanno dimostrato che l’autocontrollo (la forza di volontà) è una capacità che si può imparare e migliorare, non è qualcosa che si possiede o non si possiede. Quando nel nostro modo di pensare, prevale il sistema limbico (il centro delle emozioni), si agisce d’impulso, si cercano in modo prepotente ricompense immediate sottovalutando le ricompense a lungo termine. Quando invece a prevalere nel modo di pensare è la corteccia prefrontale, si è capaci di analizzare le situazioni con calma, considerando anche le diverse possibilità a nostra disposizione per risolvere un problema.

Un modo per allenare il cervello a resistere alle tentazioni, è raffreddare le emozioni (go to the balcony) oppure concentrarle sulla ricompensa più lontana. Se il problema è mantenere un regime dietetico, anziché concentrarci sul dolce che abbiamo davanti possiamo immaginare come saremo con qualche chilo in più. Oppure al contrario ci possiamo concentrare sulla ricompensa lontana, come fa ad esempio chi vuole diventare un grande atleta, un grande musicista, nessun sacrificio sembra mai troppo grande. I trucchi più efficaci però sono quelli che adottavano i bambini più piccoli che implicano cioè il distrarsi, il dirigere l’attenzione da un’altra parte, chi si ferma a guardare il marshmallow non resiste. Di solito quando pensiamo alla forza di volontà, pensiamo ad una vera e propria “forza”, ma non è con la forza che si resiste alle tentazioni perché questa forza in realtà non la possiede nessuno! I bambini che resistono nell’esperimento, non sono quelli che “stringono i denti” ma quelli che si divertono. Il trucco più importante dunque è trasformare una cosa che non ci piace in una che ci piace, un compito percepito come difficile in uno più facile da affrontare. La nostra quotidianità ci mette di fronte costantemente a dei “test del marshmallow”, pertanto affrontare efficacemente ogni situazione non implica l’affidarsi ad una presunta “forza di volontà”, bensì sviluppare una maggiore capacità di valutazione su quando è possibile gratificarsi senza attendere oltre, oppure creare e pianificare strategie adeguate per ritardare la gratificazione quando serve ad ottenere maggiori vantaggi.

Mirco Mirabella, Psicologo Psicoterapeuta Roma Acilia Artena

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